Dualismi (come indica il sottotitolo) intesi come sentimenti e immagini, “Dualismi” come ‘sé’ e introspezione del ‘sé’; o in altri termini, il ‘doppio’ che si osserva allo specchio. Un iter fotografico che si snoda attraverso tappe fondamentali della vita, dall’adolescenza alla presa di coscienza del sé, dai sogni giovanili alla maturità e al tempo stesso alla realtà.
Il rapporto tra poesia e arti visive (pittura, in particolare) è molto antico e i dibattiti sull’argomento sono stati sempre ampi e articolati. “La pittura è poesia silenziosa, la poesia è pittura che parla” diceva il poeta greco Simonide (556-468 a. C.); e Orazio, nel I sec. a. C., scriveva nella sua “Ars poetica”: “Ut pictura poësis”, “La poesia è come la pittura”. “La pittura è una poesia che si vede e non si sente, e la poesia è una pittura che si sente e non si vede”. E ancora Leonardo da Vinci, nel “Trattato della pittura” (XVI sec.), confermava che “la pittura è una poesia muta, e la poesia è una pittura cieca” (I-8-18-20-21). Dunque, anche la fotografia non è espressione dell’anima e quindi “poësis ut pictura”?
È durante la fase adolescenziale che Corsini scopre che forse è più facile esprimere con parole fermate sulla carta pensieri e riflessioni (“Preludi”). Il primo gruppo di liriche (da “Nella notte” a “Incontro”) è pervaso dal tipico pessimismo di quell’età, momento in cui ognuno di noi inizia a rendersi conto, a fatica, che fa parte di un grande meccanismo (la società), al quale ci si ribella, non riuscendo a capire quale sia il proprio posto. È l’amara percezione dell’esistenza, espressa attraverso il fluire di parole senza punteggiatura. “Nella notte” l’autore si ritrova nella sua città, “negli angoli perduti/ di vicoli nascosti”. È l’età in cui crediamo di essere un unicum del mondo, in cui soffriamo per amore e non troviamo nessuna logica nel mondo, pervasi da un vuoto che sembra incolmabile. L’attenzione per le parole aumenta e acquisisce un’altra struttura con gli studi universitari: la letteratura, la linguistica, la metrica, permettono di creare una poesia più studiata ‘a tavolino’, costruita in prevalenza con endecasillabi (da “Chiaroscuri II” a “Desideri VI”). Vi è una palese ricerca di una persona da amare e a cui dedicare tutti gli sforzi quotidiani, una persona che in un momento compare, ma che presto svanisce, tra realtà e sogno, tra vero e immagini riflesse, rivelandosi solo una presenza sfuggente. Ma infine, “con il celeste incanto del presente” (“Desideri VI”), il dolore finalmente si allevia e all’improvviso compare la donna giusta, la Musa che tutto illumina, nel “nuovo tempo dell’amore” (“Desideri VI”).
Da qui in poi le parole servono ad esprimere l’amore maturo, certo e a lungo cercato, che con l’ispirazione e la complicità della Musa si traduce in immagini fotografiche. Si nota ora un’espressione prosastica caratterizzata da una calma forse apparente, punteggiata da una certa lenita irrequietezza, e comunque da pensieri sicuramente meno ermetici. Le parole nascono insieme alla fotografia, poco prima o poco dopo: a volte è l’immagine di un’idea (le gambe di Patty), che una volta ‘fermata’ viene espressa subito dopo in parole; altre volte è la prosa che precede la fotografia (“Dicono sia così…”). Ma sul nascere, sempre e comunque, non c’è foto pensata senza parole, e viceversa.
Quello che fa Corsini è una necessità comune a tutti. L’uomo, contraddistinto dalla ratio, la ragione, intesa come Λογος, la parola, ha la necessità di ‘completare’ ciò che vede e che cattura con l’occhio. In questo caso gli endecasillabi hanno una forma ben precisa e, se declamati, hanno un suono lieve che inducono l’occhio e la mente nel profondo dell’immagine. È come una totale dichiarazione d’amore all’amore: “Amami soltanto per amore dell’amore”, scriveva la poetessa Elizabeth Barrett Browning (Durham, 1806 – Firenze 1861).
Corsini ha appreso dal suo maestro Alessandro Mayer che la fotografia nasce da tre momenti: la costruzione, la composizione e la scelta della luce. È un’idea che assume e fa propria nel suo fare fotografia e che dà vita all’anima ‘cubista’ di Corsini, perché l’anima cubista è l’originalità che si appalesa nel ritratto composto per costruzione mentale e modulato dalla luce, come in “Michela”, ed è un’idea che si ritrova nei paesaggi, anch’essi vivi mentalmente, come in “Vasca di Villa Petraia”, dove la foto è costruita per accostamenti geometrici. Qui si manifesta anche l’idea del ‘doppio’ ed entriamo nel campo della Metafisica di De Chirico e dell’ “Uno, nessuno, centomila” pirandelliano, dibattuta questione della moltiplicazione dell’Io, dell’Esser-ci, del manifestarsi e del rappresentarsi.
Tutta l’opera fa parte di uno schema, di un progetto ben preciso, che vede l’accostarsi di tecnica, espressione, passione. Corsini sembra effettivamente seguire l’insegnamento di colui che cita come grande maestro, Henri Cartier-Bresson, il quale diceva: “To take a photograph is to align the head, the eye and the heart. It’s a way of life” (“Fare fotografia è allineare la testa, l’occhio e il cuore. È un modo di vivere”).
Dott.ssa Caterina Vitelli